Fino al Medioevo il vero Capodanno sardo si festeggiava a settembre. La forte vocazione agropastorale dell’isola, unita al lungo periodo di dominazione bizantina, infatti portò la Sardegna a seguire il calendario bizantino e non quello gregoriano, dove l’anno iniziava il 1 settembre e terminava il 31 agosto. Per questo motivo l’intero mese venne chiamato “cabudanni”, termine che deriva dal latino “caput anni”, ovvero, “inizio dell’anno”.

A settembre, infatti, si svolgeva l’ultimo ciclo delle attività agricole e pastorali, che precedeva il lungo periodo di quiescenza invernale della Natura. Da sempre, quindi, era il legame con la terra a condizionare notevolmente i ritmi della vita e le tradizioni del popolo sardo. Al Capodanno settembrino erano quindi legate alcune usanze e tradizioni ben auguranti. Conosciamo molte di queste usanze grazie ai racconti di Grazia Deledda, che – come sappiamo – ha saputo tramandare un mondo antico e “primitivo” fatto di credenze popolari, riti e leggende.

Sebbene non accompagnato da celebrazioni solenni, come la Pasqua o il Natale, il Capodanno era il momento più adatto per fare al destino domande sul futuro (molte fanciulle in età da marito si domandavano quando si sarebbero sposate) e invocare sui raccolti la benedizione del divino.

 

 

 

 

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis