La storia di Francesco Serra noto “Chicheddu” di Talana è una storia molto dolorosa.

Aveva appena quattro anni quando scomparve dalle campagne del paese il 30 marzo del 1928. Questa vicenda anche se sono passati oltre novant’anni è ancora capace di mettere i brividi, e nessuno avrebbe potuto immaginare quello che realmente fosse successo se non quando “Chicheddu” fece rientro nella sua terra natia, quarant’anni dopo.

Il bimbo di Maria Agostina e Anania, fu rapito quel giorno di primavera per poi passare in mano a dei cammellieri del Nord Africa che infine lo vendette a una tribù di beduini nomadi.

Questi praticavano l’allevamento e vivevano nell’oasi di Cufra nel deserto della Libia, dove il piccolo Annuf – il nome scelto dai suoi nuovi genitori per il bimbo ogliastrino – affrontò un’infanzia dura e di stenti. Una sorte diversa dagli altri due figli della coppia, che “Chicheddu” non ricordando il suo passato, pensava fossero suoi fratelli.

Ma un giorno, il ragazzo conobbe la verità dalla nonna beduina, l’unica persona che gli aveva dimostrato affetto in quel luogo, in punto di morte. Con le ultime forze e un filo di voce, l’anziana Fatma gli rivelò che non era figlio di Alì e Uarda, ma era stato rapito in Italia e poi venduto. Gli restituì una medaglietta che “Chicheddu” portava al collo quando giunse in Africa, nella quale c’era inciso un nome, Giuseppe Di Bello, e gli consigliò fi fuggire.

Il ragazzo, a quelle parole, si diresse nel deserto dove unendosi a un gruppo di carovanieri arrivò in Egitto. Qui incontrò un plotone di soldati inglesi diretti a Tripoli, a cui raccontò la sua storia, che lo presero con loro, ma la malasorte era ancora in agguatto.

Infatti dopo oltre un migliaio di chilometri, arrivati a Misurata i militari britannici mentre allestivano l’accampamento saltarono in aria. Infatti il terreno scelto era un campo minato, ma il destino volle che “Chicheddu” e un soldato inglese si salvarono.

L’ogliastrino giunto a Tripoli, dopo varie peripezie, riuscì a imbarcarsi per l’Italia su una nave mercantile – da clandestino – grazie all’aiuto di un commerciante lombardo.

Approdato in Sicilia, qui gli vennero prese le impronte e scattate le foto segnaletiche, ma non fu trovato niente di utile per risalire alla sua identità. Intanto Annuf, fu ribattezzato Giuseppe Di Bello e in terra sicula fu da subito accolto con tanto affetto e il vescovo di Siracusa si impegnò a fargli avere un’identità fittizia.

Passarono gli anni ma in “Chicheddu” cresceva la volontà di conoscere quali fossero le sue origini, nonostante nel frattempo si fosse sposato con Anna Barbagallo, una giovane siciliana che sposò nel 1962.

L’uomo così si rivolse al periodico Famiglia Cristiana, e dalle pagine della rivista lanciò un appello per scoprire la sua vera identità. Il tentativo non andò a buon fine, ma Giuseppe – come si chiamava all’epoca – non cedette e contattò la testata giornalistica Stop.

Una copia del giornale, sulla quale era presente una fotografia dell’uomo, arrivò fino a Talana e venne letta dai fratelli Serra che  riconobbero il familiare per un particolare anatomico.

Michele Serra, più anziano del fratello scomparso, nel 1966 si recò a Siracusa per un incontro. A questo ne seguì un secondo a Roma e il 25 settembre del 1967, a quasi 40 anni dopo il rapimento.

In seguito per “Chicheddu”, a quasi 40 anni dopo il rapimento, ci fu il tanto atteso ricongiungimento con la famiglia nel paese ogliastrino. Il bimbo scomparso diventato uomo, fu accolto da tutto il paese e immediatamente gli ritornarono alla mente dei dettagli del piccolo borgo che nessuno poteva sapere se non era nato nel luogo e vissuto negli anni venti.

Infatti ricordava dei dettagli, che ristrutturazioni successive, avevano reso mancanti nella fontana “Sa Carrera”. Inoltre anche quando menzionò l’usanza di appendere le carcasse degli animali macellati al grande leccio del paese, allora nessuno ebbe più dubbi che si trattasse del bimbo scomparso nel lontano 1928.

Purtroppo, “Chicheddu” al suo ritorno non ritrovò l’abbraccio tanto sperato del padre e della madre, il primo morto da tempo e la seconda appena pochi anni prima. Questa però non si rassegnò mai al fatto che fosse morto e sentiva nel profondo del suo cuore che fosse in vita, tanto da farsi promettere dai propri figli in punto di morte di non perdere mai la speranza di ritrovarlo.

Solo nel 1973, la Corte d’appello di Cagliari sancì in maniera definitiva l’identità dell’uomo.. Per arrivare a questo risultato la famiglia d’origine si batté con tenacia nelle aule di tribunali e “Chicheddu” si sottopose a tanti esami medici.

A tal proposito una perizia fu decisiva, quando ancora l’analisi del DNA non esisteva, una particolare patologia di cui soffriva tutta la famiglia Serra e lo stesso uomo dall’accento siciliano, sancì che si trattava veramente del bimbo scomparso.

Francesco Serra per una decina d’anni visse a Cagliari, ma venendo a mancare il lavoro, fece ritorno a Siracusa, dove è morto nel 2011. “Chicheddu” ha sempre mantenuto però un forte legame con i familiari rimasti a Talana e sentiva un forte attaccamento con la sua terra natia, la Sardegna.

L’Amministrazione comunale qualche hanno fa ha voluto ricordare la vicenda del proprio compaesano con varie iniziative, per non dimenticare e tramandare ai posteri questa incredibile storia di resilienza.

Non si è mai saputo chi sia stato a strappare alla propria terra il bimbo ogliastrino.

 

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda