Condannato da una maledizione a trasformarsi, nelle notti di luna piena, in un ferocissimo lupo e a vagare nella foresta assetato di sangue. Poi, magicamente, all’alba il ritorno alla forma umana. Nella mitologia e nella letteratura il lupo mannaro è un componente tipico tanto caro agli amanti dell’horror. E nella narrativa, così come nella cinematografia, altri elementi sono stati aggiunti alla tradizione popolare, come l’arma d’argento, ad esempio, necessaria all’uccisione della bestia, o il contagio di altre persone mediante il morso.

Pochi sanno, però, che la licantropia ha una sua caratterizzazione sarda e cagliaritana. Come riportato da Francesco Alziator ne “La città del sole”, questa è chiamata su mali ‘e su vitellu. La sostituzione del lupo con il più comune vitello è data ovviamente dal fatto che il primo non sia presente in Sardegna, se non in epoche lontanissime, e che comunque non rientri nell’immaginario collettivo.

Tuttavia, è interessante notare come il comportamento del vitello della versione sarda della licantropia si comporti allo stesso modo del lupo mannaro. La persona maledetta infatti sembra essere affetto da un’infermità decennale, che lo porta a trasformarsi nottetempo e correre muggendo per le vie deserte. La riacquisizione della forma umana avviene solo con l’immersione nell’acqua di una vasca. Pare, sempre secondo la tradizione sarda, ci sia anche la componente dell’arma, necessaria per ferire l’homo vitellus al collo.

Ancora più specificatamente, nella tradizione barbaricina, la tradizione ha conservato la leggenda de su Erchitu. Anche in questo caso si tratta di una maledizione che colpisce colui che si è macchiato di grave colpa. Indubbiamente, a saltare subito all’occhio è la questione legata alla giustizia divina, sostitutiva di quella umana.

Il condannato durante le notti di luna piena si trasforma in un bue bianco con corna in acciaio e vaga per le vie del paese seguito dai diavoli dell’inferno. Rispetto alla versione de su mali ‘e su vitellu, quella de su Erchitu presenta una componente più terrifica. Sembra infatti che il bove scelga una casa del paese e davanti a essa emetta tre muggiti: il padrone dell’abitazione è condannato così a morire entro l’anno.

Più vicina alla comune licantropia è la riacquisizione della forma umana da parte del bue barbaricino: l’Erchitu infatti ritornerebbe uomo all’alba. Tuttavia, alcune versioni raccontano della necessità di rotolarsi davanti a una chiesa o a un cimitero. E ancora, sempre a confronto con la licantropia comune, il taglio delle corna d’acciaio determinerebbe la guarigione dell’uomo bue.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi