Nella Villagrande di metà Ottocento, benché ci fosse molta miseria, la gente era abbastanza serena, si viveva in comunità e ci si aiutava l’un l’altro.

I ragazzi lavoravano sin dalla tenera età, non era inusuale che un ragazzino a sei anni si occupasse del bestiame o dei campi. Se faceva il servo pastore, spesso riceveva come stipendio un paio di scarpe – nemmeno confortevoli poiché fatte con quella che in sardo si chiama “pedde crua”– e non sempre le due scarpe erano uguali: se lavorava per due pastori, ognuno dei due ne forniva una fatta da un diverso calzolaio.

Le donne si occupavano, oltre che delle faccende di casa, anche di altre mansioni. Lavoravano la terra e spesso tessevano. Non sempre i bambini potevano andare a scuola, generalmente pochi erano quelli che potevano frequentarla regolarmente. Spesso le famiglie, allora molto numerose, venivano decimate dalle malattie. Ad esempio, nell’epidemia di vaiolo del 1885-1895 morirono centinaia di persone.

Per quanto riguarda il cibo, veniva usata molto la farina d’orzo con la quale si facevano due tipi di pane, il “pistoccu de orgiu” e il “civargiu”. La carne si mangiava prevalentemente per le feste mentre abbondavano, nelle tavole dei villagrandesi di metà Ottocento, fagioli e fave con lardo.

Il vino si beveva, sì, ma più che altro nelle famiglie che possedevano una vigna. Il caffè si faceva ma non con la macchinetta, premendo un pulsante… Il procedimento era molto meno veloce, inoltre il caffè era fatto con le ghiande o con l’orzo abbrustolito. Niente fornelli a induzione o piani cottura extramoderni, le pentole venivano messe a bollire nel fuoco con il treppiede. Non esistevano i materassi che si adattano al corpo, fatti con materiali ottimi per la schiena. Allora, il materasso era fatto di stuoie, foglie secche. Il pregio? Non era ingombrante, si avvolgeva facilmente e si poteva ritirare in poco tempo.

Per lunghi viaggi si usava il treno a vapore, le notizie arrivavano da chi viaggiava – niente social o siti internet vari – e, poiché in Sardegna le notizie arrivavano per mezzo dei piroscafi, forse non erano molto fresche. A Villagrande c’era il Municipio, l’ufficio postale e quello delle imposte.

Nelle case c’erano le candele a petrolio e a olio.

Fonte: “VILLAGRANDE STRISAILI tra storia e leggenda” di Antonio Cannas e Assunta Rubiu, 1977.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi