Il villaggio nuragico di Ruinas è situato a quota 1.197 s.l.m. nel massiccio del Gennargentu nell’attuale territorio comunale di  Arzana. Risulta essere uno dei più alti della Sardegna. Fu individuato da Orazio Ferreli nel 1950, per la tesi di laurea in archeologia.

Il villaggio Ruinas si sviluppa intorno al maestoso nuraghe omonimo, che domina le oltre duecento capanne a pianta circolare, di cui attualmente sono rimaste le basi in pietra.

Questo antico insediamento umano antichissimo si dice fosse abitato fino al Medioevo,la tradizione orale racconta sia stato abbandonato a causa di una drammatica pestilenza intorno al 1300 che aveva decimato la popolazione.

I sopravvissuti furono accolti ad Arzana e si stabilirono nella parte estrema della periferia dell’abitato nella parte alta di “Preda ‘e Maore”. Il Comune di Arzana così ereditò le terre di Ruinas.

Visti i resti dell’antico villaggio nuragico, doveva essere un grosso centro provvisto di fontane e pozzi, dove ancora oggi l’acqua sgorga in vari punti dal terreno.

La tradizione descrive gli abitanti dalla carnagione molto chiara, con gli occhi azzurri e i capelli biondi o rossicci, dal carattere fiero e ribelle.

Molti dei sopravvissuti in seguito, da Arzana si spostarono in alcuni paesi confinanti, continuando a praticare soprattutto la pastorizia, la principale attività produttiva dell’antica Ruinas.

Alcuni cognomi sardi vengono fatti risalire all’antico villaggio nuragico del Gennargentu.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Novità nelle indagini sul brutale omicidio di Tonino Porcu, avvenuto nella notte tra il 21 e il 22 febbraio scorsi.

Infatti si sarebbe giunti a una svolta con l’arresto dei presunti assassini del 78enne, allevatore in pensione, pestato e ucciso durante una rapina nella sua casa a Ghilarza finita nel sangue.

A finire in manette i fratelli Rubens e Bryan Carta, rispettivamente di 31 e 27 anni, con l’accusa di omicidio volontario. – come riporta ANSA -.

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Durante un forte temporale, nel cuore della notte del 3 giugno 1893 a Seui nella località “Perdas Arbas”, una banda di trenta banditi attaccò un capannone ligneo.

Armati e mascherati irruppero nel riparo degli impresari Marcello e Martino Berattino, impegnati con la loro ditta Berattino-Calapaj nella costruzione di un tratto della linea ferroviaria Mandas-Arbatax. L’obiettivo erano i denari delle paghe dei lavoratori, che in quei giorni sarebbero state distribuite.

Le cronache dell’epoca riportarono la descrizione della grassazione, non mancando di criticare l’imprudenza dei due impresari – padre e figlio – di avere l’abitudine di distribuire i salari nel capannone e non in paese. Verso le nove di sera iniziano a susseguirsi i colpi di fucile dei banditi, e poco dopo uno di questi entrò dentro il baraccone. 

Martino Berattino, figlio di Marcello, fronteggiò il malintenzionato ma non riuscì a colpirlo con il proprio fucile. 

In suo aiuto accorse il giovane della vicina baracca di generi alimentari di Remo Bertelli, ma i due furono sopraffatti dal grande numero degli avventori. Il garzone fu immobilizzato e picchiato e l’impresario scaraventato nel dirupo nei pressi della vicina ferrovia.

Il giovane Berattino ripresosi dalla caduta, celato dalla notte e dalla boscaglia, iniziò a dirigersi verso il paese – distante diversi chilometri – per chiedere a aiuto.  Nel frattempo i lavoratori allertati dagli spari tentarono di aiutare gli impresari, ma furono costretti a desistere dai fucili spianati dei ladri, appostati all’imbocco della galleria.

Gli altri componenti all’interno del capannone consumarono la rapina, mentre la serva dei Berattino era costretta a guidarli e fare luce nella ricerca del denaro. Il bottino totale fu di settemila lire, oltre alla devastazione degli oggetti e degli arredi che fece pensare alla presenza, all’interno della banda, di qualche ex lavoratore licenziato.

Stessa sorte toccò alla vicina baracca di generi alimentari Bertelli, con i due lavoratori e il titolare malmenati. Il signor Bertelli “avvinghiato” ad una damigiana che nascondeva il suo denaro, fu non solo derubato di duecento lire, ma picchiato e spaventato a morte.

Infatti fu minacciato dai banditi di avere una falange amputata, se non avesse consegnato il proprio anello che portava al dito. Per sua fortuna il basso valore dell’oggetto non portò alla menomazione.

Il vecchio Marcello Berattino asserragliato in un angolo del casolare con il suo fucile Remington a dodici colpi, pronto a vendere cara la pelle, non fu percosso e la scampò illeso. Quando arrivarono i carabinieri e i barracelli dal paese, i banditi si erano già dileguati tra i sentieri in mezzo alle montagne, senza lasciare tracce. Cancellate dall’incessante pioggia di quella notte.

 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Pensa e ripensa ai suoi cari, lontani chilometri e in mezzo alla tempesta di fuoco. Le lacrime agli occhi arrivano senza che quasi se ne accorga. Poi, però, pensa a chi, in terra sarda, le ha dato affetto e solidarietà. E allora il sorriso prova a fare capolino sul suo bel viso.

Elena ha 35 anni ed è una delle tante donne ucraine nel Cagliaritano che vive con angoscia e terrore questi giorni di guerra nell’est Europa. I genitori infatti, così come tutti i suoi familiari, si trovano a Sumy, sua città natale a pochi chilometri da Kharkiv, proprio nella parte del Paese confinante con la Russia.

Elena è arrivata in Sardegna giovanissima da quello che, come lei ricorda dai tempi della scuola, è un territorio storicamente russofono. Ora a Quartu vive la sua quotidianità di infermiera e mamma di famiglia. Ma in questi giorni è enorme la paura per i suoi cari, che vivono proprio nella zona sotto stretto fuoco nemico.

“Mia madre, 66 anni, lavora in un ospedale della città e mio padre, 70 anni e malato, è costretto alla dialisi. Lì la situazione è tragica, le persone sono nascoste sotto terra per sfuggire alle bombe e fuori la temperatura è molto rigida, visto che è pure nevicato”.

A Sumy estrema difficoltà di reperire rifornimenti alimentari e medicinali, è praticamente impossibile avvicinarsi a quei territori. “Ho pensato di mandare qualcosa, ma nessuno in questo momento riuscirebbe a entrare”. Elena pensa anche a suo fratello, rimasto lì insieme a tutta la sua famiglia. “Lui ha moglie e figlia. Assiste i miei genitori e mi informa. È ottimista e dice che ce la faremo, ma io ho paura”.

Tantissima preoccupazione, sì, ma anche la consapevolezza di quanto sia bello toccare con mano la solidarietà dei sardi, per lei e tutto il suo popolo. “Qui molti ci sono stati vicini. Siete un popolo bellissimo”.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Sa omu ‘e Orgia ( La casa di Orgia) era un tempio a megaron, sul tipo dei templi greci, che si trovava presso Esterzili.

Ora di quel tempio non esistono che le fondazioni e il nome di Orgia ( o Giorgia), è riferito probabilmente a una sacerdotessa che lo custodiva.

Secondo la leggenda, Orgia era una strega ( per altri una fata) che aveva la sua dimora nel tempio.

Un giorno gli abitanti non la vollero più e la cacciarono dalle loro terre. Orgia se ne andò, ma prima di allontanarsi volle vendicarsi lasciando in quel posto due orci: uno pieno di api e l’altro di musca macedda.

Quando gli abitanti, dopo la sua partenza, andarono nel tempio e videro i due orci ben sigillati, perfettamente uguali tra loro, non osarono aprirli. Avrebbero voluto prendere le api per ricavarne del buon miele, ma il timore di aprire l’orcio che conteneva la musca macedda li frenò sempre, perchè se avessero sbagliato, avrebbero distrutto se stessi e il mondo intero.

Per questo motivo i due orci stanno ancora là, nascosti sotto la terra, nessuno sa più dove, e non furono mai aperti per timore del micidiale insetto.

Questa fu la vendetta di Orgia.

 

Leggenda tratta da “Leggende e racconti popolari della Sardegna” di Dolores Turchi, Newton Compton Editori. 

 

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

“Solidarietà e sostegno nei confronti di chi fugge dalla guerra. La Sardegna è pronta a fare la propria parte in questa emergenza. L’auspicio è che si possa presto stabilire la pace, ma nel frattempo la nostra mano è tesa verso chi ha bisogno”.

Lo dichiara il Presidente della Regione, Christian Solinas, in vista dell’arrivo nell’Isola del primo nucleo di profughi ucraini, 85 in tutto, tra cui anche minori, in partenza da Livorno per Olbia, via mare, e attesi domani a Cagliari a fine mattinata.

I dettagli operativi sono stati al centro del vertice che si è tenuto questo pomeriggio in videoconferenza e a cui hanno preso parte la vicepresidente della Giunta, Alessandra Zedda e gli assessori della Difesa dell’Ambiente, Gianni Lampis, e della Sanità, Mario Nieddu, quest’ultimi in collegamento dalla sala operativa della Protezione Civile regionale. Al tavolo, a cui hanno preso parte, tra gli altri, i vertici delle prefetture e delle procure dell’Isola, presenti anche i rappresentanti del mondo del volontariato e l’Anci: “Questa è un’emergenza che deve trovare il più ampio coinvolgimento possibile sul territorio, con la partecipazione di tutti gli attori in campo. La protezione civile regionale è pienamente operativa e darà il proprio contributo con il massimo impegno”, dichiara.l’assessore Lampis.

Analoga la posizione dell’assessore Nieddu che sottolinea: “Il nostro sistema sanitario è pronto a offrire assistenza ai rifugiati in arrivo. Le persone in partenza sono state sottoposte al test antigenico, al loro arrivo ci assicureremo dello stato di salute di ciascuno e qualora fosse necessario forniremo cure specifiche a chi dovesse averne bisogno. Inoltre abbiamo già dato indicazione alle aziende sanitarie di organizzarsi per la vaccinazione anti Covid per tutti i soggetti eleggibili”.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Esiste un antico filo della memoria tra Santa Maria Navarrese e la Spagna.

Un legame che ha sempre avvertito dalla più tenera età Irene Pili, 25enne originaria della frazione di Baunei, da qualche anno trasferitasi nella penisola iberica.

Dopo aver conseguito il diploma nel 2015, grazie al programma ‘Au Pair World’, è partita in Spagna, in un piccolo paese sul mare vicino ad Almeria e qui fin da subito è stata accolta dalla famiglia ospitante come se fosse una di loro. «I due coniugi, sono sempre stati presenti e disponibili per ogni necessità che io avessi – spiega Irene – mi hanno dimostrato tanto affetto e per me è stato fondamentale in quanto durante i mesi trascorsi con loro è diventato concreto il progetto di iscrivermi all’Università in Spagna, e ho deciso quale facoltà scegliere».

Questo speciale rapporto umano oltre ad essere stato decisivo per il suo futuro ha creato un indissolubile legame con questo nucleo familiare spagnolo. «È un piacere poter tornare da loro e vedere i bambini crescere», rivela la giovane ogliastrina.

Nel settembre del 2016 si è trasferita a Granada per prepararsi ai test universitari e nell’ottobre del 2017 ha iniziato il suo percorso alla facoltà di Fisioterapia nell’Università Cattolica di Murcia, che l’ha portata a conseguire una brillante laurea nell’estate scorsa. Attualmente sta conseguendo un importante master in Neurologia.

Conosciamo meglio Irene e la sua storia.

Cosa ti ha portata ad andare all’estero?

La motivazione per partire in Spagna nasce da quando ero bambina e mi hanno regalato una bambola con il tipico vestito da flamenco. È stato un colpo di fulmine, sono rimasta affascinata da questo Paese e dalla loro lingua, tanto che spesso mi capitava di aprire la cartina geografica della penisola iberica e sognavo di andarci a vivere.

Alle scuole medie iniziavo a progettare lì il mio futuro, anche se ancora non sapevo come fare. La prima opportunità di entrare in contatto con questo Paese è stato grazie al gemellaggio ‘Comenius’ all’età do 16 anni. Ho chiesto insistentemente al professore di farmi partire in Spagna perché teoricamente la mia destinazione sarebbe stata la Francia. Per fortuna il docente accettò la mia richiesta, e ho trascorso dieci giorni a casa di una famiglia a Cordoba. Una volta rientrata da questa esperienza, ero impaziente di poter parlare alla perfezione lo spagnolo e farvi ritorno al più presto. Qualche anno dopo ho frequentato la quarta superiore in un liceo americano in Texas e mi sono sentita pronta per ripartire di nuovo all’estero.

Credo che la motivazione di prendere l’iniziativa di partire all’estero nasce dal modo in cui mia mamma mi ha cresciuta. Grazie alla lettura dei libri ha suscitato in me una forte la curiosità nell’apprendere nuove lingue e culture, stimolandomi nell’intraprendere esperienze lontana da casa. Mia madre mi ha sempre incoraggiata a mettermi alla prova in situazioni fuori dalla zona di confort, in cui ti manca l’elemento principale per socializzare: la conoscenza della lingua. Di conseguenza stimolare la capacità di riuscire a superare ogni barriera.

Di cosa ti occupi in Spagna?

Ho conseguito la laurea in Fisioterapia lo scorso giugno, e attualmente studio e frequento un master in Neurologia nell’Università di Murcia, in ambito di età pediatrica ed adulta.

Come è stato l’impatto con la nuova realtà?

Mi sono sempre chiesta come mai non ho avuto un impatto ‘traumatico’ con il mio trasferimento in Spagna e con questa cultura. La verità è che mi sento parte di questa nazione, come se avessi una piccola quantità di sangue spagnolo. Non mi sento una straniera, ho imparato la lingua con lo stesso accento della zona in cui vivo e questo mi fa sentire ancora più integrata. Questo fatto mi rende felice e di questo sono orgogliosa di me stessa per aver realizzato passo dopo passo il mio progetto.

L’ambiente universitario è simile ad un college americano, l’Università Cattolica Sant’Antonio di Murcia si trova in periferia ed è molto suggestiva perché anticamente era un monastero. Le pause caffè nel giardino di bonsai e aranci, tra le lezioni, sono sempre state la parte preferita della giornata. L’Universitaria è strutturata come un piccolo paese, qui gli studenti di Fisioterapia trascorrono una media di 10 ore giornaliere, è molto accogliente e ti permette di avere tanti servizi.

Ho amici spagnoli di ‘lunga data’ che posso considerare ‘fratelli’ per lo stretto legame che si è venuto a creare, però dopo sei anni continuo a sostenere che noi italiani, in linea generale, siamo più aperti e i rapporti sociali siano molto diversi. L’aspetto che mi piace della Spagna è la loro filosofia di vita, in quanto ogni momento è buono per festeggiare qualcosa. Infatti spesso noto i bar e le piazze gremite di persone. La discoteca il sabato e la domenica pomeriggio è  molto frequenta da giovani e adulti.

L’unica barriera che ancora non riesco a superare, non adattandomi, è la cucina spagnola. Devo ammettere che ogni anno che passa sento l’esigenza crescente del cibo italiano. Per questo quando faccio ritorno a casa in Sardegna, faccio il pieno di alimenti sardi e nazionali, unico contenuto della mia valigia alla partenza. C’è poco da dire, la cucina italiana è molto più varia con sapori più intensi, e questo mi manca tantissimo.

Differenze tra Italia e Spagna?

La  differenza tra Italia e Spagna più importante è l’Università. È programmata molto diversamente, per quanto riguarda la mia esperienza, mi sentivo di essere ritornata alle superiori. Il docente ha una relazione più stretta con l’alunno, non sei un numero. Quando hai delle difficoltà con qualche esame loro sono molto propensi nell’aiutarti ed empatici, gli studenti sono molto seguiti da questo punto di vista.

L’Università spagnola inoltre è molto concreta, dopo il triennio di pratiche e tirocinio svolgiamo un altro anno in più rispetto a quella italiana, questo dedicato interamente al tirocinio. Un altro aspetto notato durante il mio percorso accademico, è stata la coesione e collaborazione tra compagni di corso, nonostante fossimo 240 studenti. Tra l’altro la cerimonia di laurea in Spagna si celebra con tutta la classe, prassi molto simile a quanto avviene nel sistema americano.

Ultimi anni caratterizzati dalla pandemia, come sono stati vissuti dagli spagnoli?

C’è molta confusione a riguardo, perché nonostante ci siano regole severe per le mascherine e vaccini, le discoteche attualmente sono aperte. L’anno scorso in Spagna sono riusciti a diminuire i casi positivi confinando i paesi per quattro mesi. Durante quel lasso di tempo non potevamo uscire dal nostro comune e questa decisione ha migliorato notevolmente la situazione. Attualmente qua si vive come se il virus non esistesse, a parte l’obbligo delle mascherine non c’è nessuna restrizione, ma personalmente evito di frequentare locali affollati. Tra l’altro dopo quattro anni in cui vivevo al centro della città, mi sono trasferita in periferia, lontana dalla ‘movida’ perché dopo la pandemia ho iniziato ad apprezzare il silenzio e la calma che ti può regalare la campagna.

Consiglieresti ai giovani un’esperienza all’estero?

La consiglio sempre, c’è così tanto da conoscere, lingue da imparare, persone da incontrare, che sarebbe veramente un peccato non vivere tale esperienza. Uscire di casa e mettersi in gioco in un ambiente sconosciuto è il miglior regalo che si possa fare a se stessi.

Questo tipo di scelta ti da’ una caratteristica per me molto preziosa: l’empatia. Grazie a questa si diventa più comprensivi verso gli altri, si riesce a immedesimarsi più facilmente nelle situazioni e sofferenze altrui.

Dico questo perché all’inizio di ogni esperienza che ho fatto all’estero, compresa quella negli Stati Uniti, ho apprezzato molto le persone che si sono rese disponibili e avvicinate a me. Avevano avvertito che avevo bisogno di comprensione e di adattarmi alla nuova realtà. Inoltre ho si impara a conoscere se stessi, scoprire caratteristiche del proprio carattere che non si conosceva e aiuta a far crescere l’autostima.

Senti la mancanza della Sardegna e dell’Ogliastra?

Sento la mancanza del mare, dell’aria pulita di Santa Maria e dei miei affetti, mia nonna in particolar modo. La parte difficile di tutte le esperienze lontane da casa è la consapevolezza del tempo che non hai trascorso a casa con la tua famiglia. È molto doloroso ogni volta dire a nonna che parto e vedere la sua espressione del viso cambiare. Anni fa, lei e mio nonno mettevano il tablet di fronte al divano posizionato in verticale, pronti a rispondere nel caso io facessi una videochiamata.

Un auspicio per il tuo futuro.

Non mi immagino ancora in un punto fisso, non ho in mente una città in concreto, però dopo cinque anni a Murcia sento la necessità di nuovi stimoli. Attualmente non tornerei in Sardegna, ma in un futuro lo spero. La qualità della vita che abbiamo nella nostra Isola è unica.

Riguardo il mondo del lavoro, appena concluderò il master mi piacerebbe lavorare nel campo della neuroriabilitazione. Sono molto affascinata dalla fisioterapia neurologica, uno dei tanti motivi per cui ho intrapreso questo percorso accademico è aiutare un paziente a poter riacquistare le funzionalità basiche per l’indipendenza nelle attività della vita quotidiana e nell’ambito sociale. Un buon recupero funzionale e l’integrazione sociale hanno un importante effetto nella psiche e nello stato d’animo della persona. La fisioterapia neurologica per questo si attua su due campi e l’obiettivo è restituire alla persona la possibilità di poter avere una vita degna e mettendo a disposizione gli strumenti per ottenere il massimo delle capacità.

 

L’articolo Ogliastrini nel mondo. Irene Pili da Santa Maria alla Spagna: fisioterapista e studi in Neurologia proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Socievole, amico di tutti, di un’ironia disarmante e sempre con il sorriso stampato sul viso. Così lo ricordano le persone che hanno avuto il piacere di conoscerlo. Parliamo del pittore ogliastrino Aldo Pittalis, mancato nel 2020 e che ha lasciato un’impronta indelebile nell’arte e nella storia di Gairo Sant’Elena.

Aldo Pittalis ha coltivato sin da piccolo la passione per l’arte. L’incontro con la pittura avvenne negli anni delle medie durante l’ora dedicata alla creatività: impara ad usare i colori, disegnare i primi schizzi a matita e scopre la pittura a olio che diventerà poi il suo mezzo espressivo. 

Lavorando instancabilmente da autodidatta, studiando le tecniche dei grandi nomi impressionisti e del post impressionismo del passato, inizia a rivisitare opere importanti di Van Gogh, Picasso e Caravaggio sino ad arrivare al suo stile, quello che l’ha reso noto ai più. 

La sua dedizione e il suo talento, negli anni, l’hanno portato ad essere conosciuto in tutta l’Ogliastra per i suoi quadri paesaggistici, e per le sue mostre che ogni anno organizzava nel suo paese natale, Gairo Sant’Elena. 

 

Perd’e Liana, Su Sirboni, I nuraghi, la raffigurazione di leggende sarde, come la famosissima “Accabbadora”: sono solo alcuni dei soggetti prediletti dalle sue tele. Ma uno in particolare vive in quasi tutte le sue opere: Gairo Vecchio, paese che nel 1951 fu distrutto da un’alluvione, e adesso il borgo fantasma più famoso di tutta la Sardegna. 

Infatti, nonostante avesse vissuto nel vecchio paese solo pochi anni della sua vita, nutriva un legame quasi viscerale con il vecchio borgo, come tutti i gairesi. Prima di ogni suo quadro, amava passeggiare nella natura, perdersi tra i sentieri del borgo antico, osservare per ore gli scorci delle case ormai distrutte, documentarsi tramite gli anziani del paese sulle tradizioni antiche. 

La sua impronta indelebile è presente in ogni abitazione, grazie alla sua arte, e nel cuore di ogni abitante di Gairo Sant’Elena, grazie alla sua personalità. Era conosciuto nel resto della Sardegna per la sua generosità, per il suo talento calcistico e per la sua allegria. Nei mesi precedenti alla sua morte aveva donato una sua opera al paese di Bitti distrutto dall’alluvione, raffigurante Gairo Vecchio, per mostrare la vicinanza della comunità gairese e dimostrare che dalle tragedie ci si può sempre rialzare. 

La famiglia ha creato un album digitale, che è ancora a metà della sua realizzazione, per far sì che neanche una sua opera venga mai dimenticata.

A lui il merito di aver provato a raccontare, tramite la sua arte, la realtà dei paesaggi sardi, di Gairo, la loro storia e cultura. Le sue opere sono un prezioso lascito per le nuove generazioni. 

 

 

L’articolo Personaggi d’Ogliastra. La storia dell’amato pittore e artista di Gairo Aldo Pittalis proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

 

Dopo dieci giorni di guerra, la Russia ha annunciato una tregua di 5 ore, stamattina, per permettere l’evacuazione dei civili da Mariupol e Volnovakha, due località sotto assedio e bombardamenti.

L’iniziativa però non è mai partita a causa di varie violazioni della tregua da parte delle forze russe, che continuano a bombardare la città e i dintorni, sul percorso previsto per il corridoio umanitario.

Domani dovrebbero svolgersi altri colloqui tra le delegazioni ucraine e russe, mentre lunedì si riunirà il consiglio di Sicurezza dell’Onu.

In questa giornata si rilevano, inoltre, due fatti importanti. Il primo ha visto la Russia sequestrare un ospedale psichiatrico ucraino. Il secondo riguarda invece il premier israeliano Naftali Bennett, che è volato a Mosca per incontrare Putin. Nei giorni scorsi Bennett aveva parlato anche con il presidente ucraino Zelensky.

 

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Una delegazione di donne Ucraine domani mattina a partire dalle 10 sarà all’Emiciclo a Sassari (dove si tiene il mercato di Campagna Amica) e si unirà alla grande Comunità di Campagna Amica per diro no alla guerra e per promuovere la spesa sospesa contadina per le popolazioni Ucraine.

L’iniziativa, che ha visto negli ultimi due anni protagonista Campagna Amica al fianco delle famiglie in difficoltà economica a causa della pandemia, adesso viene rilanciata in tutti i mercati italiani per sostenere e dare il proprio contributo al dramma che si stanno vivendo in Ucraina dove iniziano a scarseggiare le scorte alimentari e ai profughi che stanno arrivando anche in Sardegna.

La Spesa sospesa contadina ricalca il modello dell’usanza campana del “caffè sospeso”, quando al bar si lascia pagato un caffè per il cliente che verrà dopo. Nei mercati di Campagna Amica invece i cittadini che fanno la spesa possono decidere di donare cibo e bevande alle famiglie Ucraine.

Domani nel mercato di Campagna Amica dell’Emiciclo di Sassari sarà presentata l’iniziativa che si svolgerà in tutti i mercati sardi e che coinvolge parrocchie, associazioni, enti oltre al movimenti di Coldiretti dei Giovani e della Donne.

Appuntamento alle 10 all’Emiciclo a Sassari.

L’articolo Agricoltori sardi in soccorso delle popolazioni ucraina: nei mercati Coldiretti scatta la “spesa sospesa” proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis