C’era il tempo in cui la tradizione sarda attribuiva ai comuni mali origini di diverso tipo. Specie quando questi erano soliti colpire i bambini. Così, ecco che a uno dei fastidi più comuni che riguardava gli occhi dei piccini veniva dato un nome curioso e, soprattutto, veniva associato un rito di guarigione particolare.

Si tratta del male de “su prupu”, Il polpo marino che, quando si attacca con le sue ventose sulle mani o sulle braccia, lascia segni rossi per un po’ di tempo. Un arrossamento che spesse volte appariva negli occhi dei bambini, accompagnato da dolori e bruciori, causato da un’infezione o un’infiammazione di varia origine.

Secondo la tradizione sarda e la fede popolare, come riportato anche da Efisio Sanna, il compito di guaritore veniva dato a un pescatore o in generale a chi aveva attraversato il mare.

Seguendo precise formule e riti di preghiera, rivolti prevalentemente alla patrona degli occhi Santa Lucia, il bimbo veniva così curato.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

E’ stato un luogo di ritrovo importante per molte generazioni di arbataxini e dalla sua fondazione nel 1964 fino all’inaugurazione della più maestosa chiesa di San Giorgio avvenuta nel 1995,  la piccola chiesetta in legno dalle indimenticabili finestrelle verdi ha ospitato prime comunioni, eventi ricreativi, manifestazioni dedicate ai piccoli abitanti del rione e perfino qualche matrimonio.

In quegli anni la Cartiera stava portando ad Arbatax decine di nuovi nuclei familiari che si stabilivano nelle casette bianche del nuovo quartiere. I bambini, come racconta la signora Rosanna che quegli anni li ha vissuti e ha contribuito perché la struttura fosse sempre ordinata, ben organizzata e accogliente, erano tantissimi, giocavano per le strade, animavano le vie del Villaggio.

Serviva un posto che gli permettesse di andare alla messa senza percorrere chilometri. Da lì l’idea della Signora Taccus di richiedere lo spazio in legno e muratura.

Il primo a celebrare la messa fu il compianto Don Mereu, ma sono stati tanti i sacerdoti che si sono susseguiti negli anni. Forse in tanti ricorderanno ancora oggi Padre Marco e Padre Mariano.

E per i residenti di oggi  e di allora indimenticabili rimangono le sensazioni: il catechismo nella casetta, la sagrestia nella casetta in muratura a fianco (che non era altro che una casetta dei telefoni), i giochi sul retro (ormai arrugginiti), le semplicissime panchette in legno, l’altare sempre ben addobbato e la dolce luce che entrava dalle finestrelle.

Dopo la messa, tutti a giocare e perché no, a curiosare tra i giornali esposti all’edicola di Signor Lino, anche lui protagonista indimenticabile di un passato semplice, ma ricco di emozioni indelebili.

 

 

 

 

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Tantissima apprensione e paura tra i fedeli della comunità ortodossa cagliaritana, riunita alla chiesa della Speranza. Oggi una messa importante in un giovedì di bombe e angoscia, in questa guerra traRussia e Ucraina.

“Mia moglie e mio figlio sono in Ucraina. Dovevo andare da loro, ma il volo è stato annullato. Ho tanta paura”, le parole di padre Nikolayy Volsky, tra i tanti originari dell’est Europa presenti a Cagliari, con il cuore pieno di terrore per i propri cari.

E gli ortodossi si preparano a entrare nei giorni di quaresima. “A messa c’erano ucraini e russi, in preghiera. Tutti uniti in nome di Dio”.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Deprecabile atto vandalico nelle campagne di Ussassai, dove sono stati imbrattati alberi e rocce con una bomboletta di vernice spray. Da quanto si apprende il motivo di questo ignobile gesto, sarebbe stato quello di segnalare un sentiero di trekking.

Il fatto è avvenuto nella località ‘Perda morta’, nei pressi della suggestiva ‘Piscina de s’ogliu ermanu’, probabilmente meta finale dagli autori dell’insudiciamento del percorso naturalistico.

A denunciare questa vicenda è stata l’associazione Ussassai Experience, che ha fatto della natura, sport ed ecosostenibilità la propria bandiera.

Scrivono i rappresentanti del sodalizio ogliastrino nei social: “Nonostante avessimo già reso pubbliche le gesta, poco eroiche, di alcune pseudo guide che si erano divertite ad imbrattare piante e rocce con delle bombolette spray, siamo costretti a tornare sull’argomento per comunicarvi che gli idioti hanno completato la loro opera”.

“L’unica cosa che possiamo fare – continuano i membri l’associazione – è organizzare una giornata di pulizia,  domenica 13 marzo, per provare ad arginare questo ‘stupro ecologico’ “, concludono i componenti dell’associazione.

Anche il sindaco di Ussassai, Chicco Usai è intervenuto sulla vicenda, e ha affermato: “Come ussassese e amministratore sono sbalordito per questo ignobile atto vandalico. Le persone che vogliono fare delle escursioni, come si permettono di imbrattare in casa d’altri? Credo che sia educazione entrare in punta di piedi, perché noi lottiamo per preservare il nostro patrimonio ambientale e non accettiamo questi gesti”.

“Puntiamo sul turismo, e siamo pronti ad accogliere tutti, ma i vandali non saranno mai ben accetti. Il 13 marzo, insieme ad un nutrito gruppo di persone, andremo a cercare di ripulire questo ennesimo oltraggio alla natura. Nel frattempo informerò le forze dell’ordine del fatto, chiedendo un controllo più capillare di vigilanza del territorio. Provo molta amarezza perché non ci si comporta in questo modo”, conclude Usai.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

La Torre di Barì si colora di giallo e di blu come gesto di solidarietà nei confronti del popolo ucraino, in guerra in queste ore dopo l’attacco sferrato dalla Russia.

Lo comunica in un post il sindaco di Bari Sardo Ivan Mameli:

«”L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”. Un articolo sempre attuale, una guerra assurda, feroce e spietata che mette a rischio valori non negoziabili come la democrazia e la libertà di una Nazione. Per una settimana la Torre spagnola verrà illuminata con i colori dell’Ucraina, un gesto simbolico di solidarietá e vicinanza ma anche di ripudio incondizionato della guerra in ogni sua forma».

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Nel territorio di Gairo Sant’Elena, precisamente all’altezza del Rio Sarcerei, si trova una Conca molto famosa in Ogliastra, chiamata in dialetto “Sa foggi ‘e Susanna” (La conca di Susanna). Dietro questo nome si nasconde una storia affascinante quanto drammatica: un mix di onore, amore ostacolato e faide tra famiglie.

Tra il settecento e l’ottocento, l’onore e la dignità del nome della famiglia erano più importanti persino del sangue: l’apparenza, ovvero ciò che dovevi mostrare alla comunità, vinceva sulla verità. Tante leggende e storie sarde, tramandate da generazione e generazione, hanno come protagonista un amore travagliato e ostacolato: questa è una di quelle storie.

Come in “Romeo e Giulietta” di Sheakespeare, la gairese Susanna Depau, si era invaghita del ragazzo sbagliato. Un ragazzo che apparteneva alla famiglia rivale da sempre dei Depau, quella dei Lorrai. Da quest’amore tenace, pronto ad allontanare l’odio e la vendetta che da sempre avevano contraddistinto le due famiglie, venne concepito un figlio. La ragazza volle condividere la sua felicità con la sorella, Peppa, certa che il cognome del bambino non avrebbe influito sull’amore che una sorella ha verso un’altra sorella. Ma le sue speranze furono vane.

Peppa riferì tutto al resto della famiglia, considerando quella nuova vita come una disgrazia che stava per abbattersi contro la propria stirpe.  Saputa la tragedia, l’intera famiglia Depau iniziò a pensare e a organizzare, in segreto, un piano per disfarsi del bambino. Un piano da non svolgere nell’immediato, ma quanto bastava per evitare che i segni della gravidanza iniziassero a venire alla luce e potessero infangare il buon nome della famiglia.

Passarono alcune settimane, il tempo necessario in cui Susanna potesse tranquillizzarsi e non sospettare di nulla, quando la sorella Peppa la invitò ad andare a raccogliere legna per il pane, che avrebbero cucinato il giorno successivo. Prima dell’alba, le due sorelle Depau si incamminarono tra le montagne, all’altezza della Valle Nera, chiamata così per la configurazione scura che prende il Rio Sarcerei, giungendo ad uno strapiombo in cui alla fine si trovava una conca con le acque profonde. Proprio in quel luogo, cosi macabro e scuro, si sarebbe compiuto il piano premeditato dalla famiglia Depau.

Peppa non ci penso due volte e compì il piano tanto agognato, certa che quel luogo sarebbe stato perfetto per nascondere il delitto. Quando Susanna si chinò per prendere il fascino di legna che aveva raccolto, proprio vicino allo strapiombo, la sorella la spinse giù nella conca, lasciando che fosse abbracciata dalle acque scure e dalla morte. Da quel drammatico momento, quanto crudele, la conca prese il nome di “Sa foggi e Susanna” ovvero “La conca di Susanna”.

Il giovane Lorrai, appresa la notizia, si recò al pozzo del paese in attesa dell’assassina della propria amata. Quando Peppa giunse al pozzo, il giovane la uccise alla luce del giorno e davanti all’intera comunità.
Questa è una delle tante storie di vite spezzate a causa dell’onore e della vendetta.

Fonte: Dossier del Comune di Gairo

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Durante il viaggio con la storica Automotrice, si farà una sosta ad Isili per consentire la visita del Nuraghe Is Paras. Spettacolare di seguito il passaggio sul Lago di Is Barroccus, di fronte alla bella Stazione di Sarcidano, dove era presente la linea delle Complementari per San Gavino, ora smantellata e recuperabile come pista ciclabile.
Un’altra breve sosta di ristoro alla Stazione di Nurallao e quindi si giunge a Laconi, capolinea del viaggio.
Alle 16:00 il Trenino Verde riparte per Mandas, così da giungervi prima dell’arrivo del buio, per non perdere i policromi paesaggi delle prime fioriture dei mandorli.

La domenica successiva (13.03.2022), il Trenino Verde sferraglierà sul binario a scartamento ridotto che dal Sarcidano si dipana nella Barbagia di Seulo, sino a Seui.
In questo 2022, su questa tratta, ben più lunga, la partenza sarà sempre anticipata alle 08:30. Si confermano due belle soste lungolinea. Nel Casello di Palarana, incastonato tra due gallerie con vista sul lago del Medio Flumendosa, e al ritorno tra i boschi della Stazione di Betilli. Giunti entro le 12:30 nel paesino di Seui, avrete tempo per una breve visita e per degustarvi culurgiones ed altre tipicità. Anche la ripartenza pomeridiana è anticipata su questa linea. Entro le 14.30 il Trenino Verde va via dalla stazione, per regalarci, con luce diversa, nuovi scorci sulla verdissima Sardegna di questo periodo.

Questi due viaggi si replicheranno tutte le successive domeniche (tranne quella di Pasqua che è sostituita dal lunedì di Pasquetta) di marzo ed aprile, sempre in partenza da Mandas, ma alternativamente sulla tratta che conduce a Laconi con quella che conduce e Seui.

La linea ed i treni sono quelli storici, come tradizionali sono la voglia di primavera e di libertà, che, da sempre, portano tanti a prenotare i pochi ed ambiti posti disponibili. Super green pass ed uso della mascherina FFP2 durante lo spostamento in treno, sono attualmente confermati come obbligatori per partecipare.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Melissa Deiana è una ventiseienne originaria di Arbus, dopo il diploma in lingue straniere al liceo Piga di Villacidro nel 2015 è partita in Scozia, cosciente del percorso di studi che voleva intraprendere: medicina d’urgenza.

Nel frattempo per perfezionare la lingua e approcciarsi meglio alla cultura scozzese, ha lavorato come ragazza alla pari in due famiglie, in diverse città per circa un anno e mezzo.

Dal 2019 ha iniziato un progetto di studi focalizzato sulla medicina d’urgenza nelle ambulanze, conosciuta nel Paese del Regno Unito come Paramedicina. Nel 2020 è stata ammessa al corso di “paramedic science” alla Queen Margaret University e da allora studia e svolge tanti tirocini nelle ambulanze, con l’obiettivo di diventare un paramedico in Scozia o all’estero.

Nel tempo libero ama viaggiare ed esplorare posti nuovi, anche se con l’arrivo della pandemia si è dovuta accontentare dei dintorni di Edimburgo, dove attualmente vive.

Cosa ti ha portata ad andare all’estero?

Mi sono spostata a vivere in Scozia nel 2015, dopo essermi diplomata. Le mie ex insegnanti di inglese del liceo mi hanno supportata in ogni modo per intraprendere questa esperienza. Ho avuto una mezza idea di stare in Italia, ma per motivi economici anche legati agli studi, ho preferito la Scozia, dove attualmente per i cittadini europei che risiedono in questa nazione è previsto il percorso universitario gratuito, con inerente borsa di studio consegnata ogni mese. Inoltre, il percorso che volevo intraprendere non esiste in Italia.

Di cosa ti occupi in Scozia?

Quello che studio è legato principalmente alla sfera pre-ospedaliera, ovvero medicina d’urgenza. Qui in Scozia, come tutto il Regno Unito, il paramedico è una figura autonoma e specializzata al servizio in ambulanza, dove possono diagnosticare e aiutare i pazienti che stanno male e stabilizzarli per poterli portare in ospedale il prima possibile. Il paramedico è una figura molto importante nel settore sanitario britannico, e qui ho la possibilità di poter migliorare le mie qualità per poter un giorno diventare anche io una professionista. Al momento sono alla fine del secondo anno, e l’anno prossimo dovrei specializzarmi e spero di iniziare già a lavorare.

Come è stato l’impatto con la nuova realtà?

Onestamente non ho trovato tanti problemi a inserirmi, ho fatto subito amicizia e gli scozzesi sono stati molto accoglienti nei miei confronti. Anche nelle piccole realtà, le persone hanno una mentalità molto aperta allo straniero. L’Università è il centro del multiculturalismo, infatti nella mia più del 50% sono studenti, e così anche in altre della Scozia. La cucina è forse il punto più dolente per un italiano, ma se si conosce il posto dove si vive, si può trovare tutto. Il pesce qui è buonissimo, e quando si è fortunati si può trovare cibo italiano o mediterraneo per sentirsi un po’ a casa. Il clima qui è un po’ più freddo della Sardegna, ma non mi ha mai dato tanti problemi in questi 6 anni.

Differenze tra Italia e Scozia?

Sicuramente la mentalità, qui sono aperti alle critiche e ai suggerimenti. La gente è aperta al dialogo e a risolvere i problemi, più di crearli. Oltre al fatto che lo straniero è visto come una risorsa e viene valorizzato tantissimo. Per un italiano qui è semplice inserirsi, molti si fanno problemi per il cibo o il tempo, ma ribadisco sono più i lati positivi che negativi
a mio avviso.

Ultimi anni caratterizzati dalla pandemia, come sono stati vissuti dagli scozzesi?

Gli ultimi anni di pandemia sono stati vissuti un po’ male, il Regno Unito ha avuto un lockdown più lungo di altri Stati, ma mai troppo rigido sulle regole. Un po’ mi mancava l’ordine che c’è stato in Italia all’inizio, perché qui si è verificato un ritardo nel prendere azioni preventive. La nazione ha sofferto parecchio, molti, inclusa me, hanno perso il lavoro ma ci sono stati anche tanti aiuti dal governo, quindi ha sicuramente alleggerito un po’ la situazione. Personalmente penso
di essere cambiata parecchio, oltre ad andare all’Università e a fare tirocini ho perso molto della mia vita sociale, ma questo mi ha permesso di avere più tempo per me e permettermi di concentrarmi sul mio obiettivo di diventare paramedico. Il resto della popolazione si sta ancora riabituando ai rapporti sociali, specialmente nei posti al chiuso, e alcune aziende si stanno rialzando solo ora. Sicuramente la situazione green pass è meglio qui, perché non è previsto nessun controllo per andare al bar o al cinema. Solo se si vuole andare a ballare o ai concerti bisogna avere il “passaporto verde”.

 

Consiglieresti ai giovani un’esperienza all’estero?

Consiglierei a tutti di fare un’esperienza all’estero, oltre al fatto che apre la mente, si hanno più opportunità, tra cui anche esplorare, diventare indipendenti e conoscere nuove persone. Il mondo del lavoro è molto più accessibile, ora però per il lavoro con la brexit è diventato più complicato. Consiglierei magari di scegliere l’Irlanda o altre nazioni europee.

Senti la mancanza della Sardegna?

Quello che mi manca di più della Sardegna è sicuramente il cibo e il mare in estate, e ovviamente la mia famiglia. Ma la Scozia è diventata la mia seconda casa. A volte non ci faccio nemmeno caso da quanto tempo non rientri nell’Isola.

Un auspicio per il tuo futuro.

Mi auguro entro l’anno prossimo di riuscire a diventare un paramedico qualificato e spero di portare questo progetto di studi in Italia, cosa che sto cercando di fare da qualche mese. Spero che l’Italia si renda conto che questa figura è necessaria alla salute del cittadino e potrebbe aiutare tanto a far risparmiare soldi alla sanità, inoltre creerebbe nuovi posti di lavoro. Un giorno, se ci riuscirò, potrei anche ritornare a lavorare in Italia, ma fino ad allora il mio futuro sarà qui o in altri Paesi anglofoni se ne avrò la possibilità. Spero chi governa l’Italia guardi di più all’Europa e alla Scozia, prendendo ispirazione e accorgendosi che il servizio di emergenza deve essere legalizzato, valorizzato e retribuito in maniera adeguata, per il bene della collettività.

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

Il Brazilian Jiu Jitsu (BJJ) è un’arte marziale, uno sport da combattimento e difesa personale. È uno stile di lotta che si svolge prevalentemente a terra.

Il combattimento prevede una prima fase di lotta in piedi durante la quale si cerca di “portare a terra” l’avversario tramite proiezioni e una seconda fase che si sviluppa al suolo, con l’uso di leve articolari e “strangolamenti”.

«È uno stile di lotta non violenta, una disciplina che ci dimostra che anche una persona  piccola e debole può difendersi con efficacia da una persona più grande» spiega l’istruttore ogliastrino Alessandro Fadda «IL BJJ nasce in Brasile nei primi del 900 e deriva dal judo. L’allenamento si pratica con il kimono».

Il tortoliese Alessandro Fadda al momento in Ogliastra è l’unico istruttore di BJJ. Fa parte del team Budo Clan Sardegna, filiale del Budo Clan del maestro Dario Bacci. «Ho iniziato il mio percorso di insegnamento con gli adulti e poi mi sono dedicato anche ai bambini, spinto dalla voglia di far conoscere in Ogliastra questa splendida  disciplina» racconta Fadda «Disputiamo anche campionati di BJJ. Abbiamo partecipato diverse volte, anche con i bambini, portando a casa importanti risultati e titoli. Al momento io insegno a Tortolì e i miei allievi mi regalano tantissime soddisfazioni».

 

Perché far praticare Brazilian Jiu Jitsu ai bambini? L’allenatore ogliastrino ha la risposta pronta. I buoni motivi, a suo avviso, sono fondamentalmente questi tre:

  1. Il BJJ è perfetto per bambini e bambine ( specialmente dagli 8 otto anni in poi)  perché è un sistema di autodifesa non violento. Insegna il rispetto e disciplina.

  2. È uno degli sport più completi poiché favorisce e sviluppa una corretta coordinazione dei movimenti, dei muscoli e delle articolazioni, aiuta a sviluppare la fiducia in se stessi, aumenta la conoscenza del proprio corpo. È una buona attività fisica, con giochi propedeutici abbinati.

  3. Con la pratica del BJJ il bambino potrà allenare in maniera graduale e in completa sicurezza le tecniche e confrontarsi in maniera sportiva con i propri coetanei.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Nata in una casetta nel cuore di Lanusei nel 1902, nessuno immaginava cosa sarebbe diventata un giorno Rosa Demuro. Carattere forte e autorevole, ma con un gran cuore, la vita di Rosa assunse una piega nuova quando a vent’anni prese i voti ed entrò a far parte delle Figlie della Carità di Cagliari, diventando Suor Giuseppina. Non ci volle molto tempo perché si decidesse per un suo trasferimento a Torino.

Il suo temperamento era l’ideale per lavorare in un ambiente difficile come quello delle Carceri Nuove del capoluogo piemontese. Fra le celle e i suoi abitanti Suor Giuseppina trascorse quarant’anni, dedita com’era al servizio del prossimo, indipendentemente da chi fosse.

Ma fu la guerra a far venire fuori il coraggio senza limiti di questa donna, ancora oggi troppo poco conosciuta. Il carcere venne occupato dai nazisti, che ci instaurarono il famigerato Primo Braccio, luogo di detenzione e morte. Insieme ai normali detenuti, venivano stipati là dentro anche i detenuti politici, in un miscuglio di umanità senza criterio e senza tutele.

La personale missione di Suor Giuseppina fu quella di muoversi, sottraendosi grazie al suo ruolo alla diffidenza dei nazisti, per far scappare uomini, donne e bambini. Furono soprattutto le donne ebree a entrare nel cuore della religiosa, poco tutelate in quanto donne e perseguitate in quanto ebree. Si racconta di una giovane che venne fatta uscire dal Carcere inducendole una polmonite. La suora fece raccogliere alle altre detenute tutti i mozziconi di sigaretta lasciati per terra dai soldati, ne filtrò il catrame in acqua che fece bere alla donna, in modo che alla visita medica le sue condizioni fossero ritenute tali da doverla far uscire per curarla. Un bimbo di nove mesi venne invece sottratto alla follia nazista nascondendolo nel cesto dei panni sporchi in uscita dal carcere.

Furono anni durissimi, in cui Suor Giuseppina rischiò ogni giorno la sua vita per salvarla agli altri.

Temeraria com’era non ebbe timore nemmeno nei primi giorni della liberazione quando, tra il 25 e il 27 aprile 1945, a Le Nuove di Torino si respirava un clima di fermento. Stanca di aspettare l’ordine di scarcerazione per i detenuti politici, si sedette su una camionetta, attraversò la città ancora sotto il fuoco incrociato di partigiani e repubblichini, e piombò dal Prefetto per trattare la scarcerazione definitiva. Con gli stessi rischi tornò al carcere a comunicare ai detenuti la buona notizia.

Finita la guerra Suor Giuseppina continuò a stare tra quelle sbarre che per lei erano casa, dove, nel 1965, aspettò la morte.

Per queste gesta, tanto eroiche quanto profondamente umane, diversi premi le sono stati conferiti e oggi il suo nome è in lista per entrare a far parte dei Giusti fra le Nazioni, onorificenza che Israele riconosce a chi ha salvato anche solo un ebreo durante la Shoah.

Tra i mille motivi per ricordare questa donna straordinaria ce n’è un ultimo, non meno importante, che la lega alla particolare tutela delle donne. Nei primi anni ’50, per ovviare ai drammi delle donne che uscite dal carcere si ritrovavano per strada per mancanza di opportunità, fondò “La Casa del Cuore”, una delle primissime case protette in Italia. Qualche mese fa, in suo onore, l’Unione dei Comuni d’Ogliastra, ha intitolato a Suor Giuseppina il centro antiviolenza, mentre il Centro Femmilie di Lanusei le ha dedicato la giornata dell’otto marzo.

Di questa donna si potrebbero raccontare ancora mille aneddoti. Oggi il carcere in cui ha speso la sua vita è diventato un museo, in cui si trova tanto della sua storia e in cui si ricorda quanto coraggiosa e umana sia stata questa donna.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi